La grandezza degli standard jazz: oltre alla loro bellezza (purezza?) originaria, il magnetismo intrinseco unito alla creatività dei musicisti che ne riprendono l'anima per riportarli in vita; anche uccidendoli, se serve.
I virtuosismi di Ulf Wakenius, l'afflato soul dell'arrangiamento di Kamasi Washington (con la superba interpretazione vocale di Patrice Quinn) disorientano in modo familiare. Come ritornare nella propria scuola elementare, o nei luoghi della propria infanzia, a distanza di anni.
Quel che resta, al di là della trasgressione e dell'uccisione degli idoli, è un modo rinnovato di porsi in relazione con sé stessi e con la propria storia. Unito ad un sentimento di profondo rispetto e riconoscenza. Amore, oserei dire.
In quella maniera tutta paradossale che soltanto il jazz può offrire.
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