|
Gael Garcìa Bernal in Mozart In The Jungle (Amazon Video) |
C’è posto per tutti alla Junior
Orchestra del maestro Rodrigo nella serie tv americana Mozart in the Jungle. I personaggi
si scambiano uno sguardo al termine dell’esibizione di una bimba al flauto
traverso. Gli orchestrali, americani, domandano con aria incerta al direttore dell’orchestra,
messicano, se la piccola abbia superato la prova. Il maestro risponde senza esitazione:
“Certo, alla Junior Orchestra c’è posto
per tutti”. Primo piano sul suo volto, che tuttavia appare triste e
pensieroso: poco prima ha comunicato alla sua amica Hailey di non avere passato
il provino dell’orchestra ‘senior’, sebbene sia stata “… bravissima … oh, sai che lo sei stata … ma c’è stato qualcuno più
bravo di te”. Il titolo dell’episodio è emblematico: o sei il migliore, o
fai schifo. Fortunatamente la serie è intelligente e auto-ironica, e lascia
intendere che dietro ad ogni sconfitta si cela una ripartenza e si aprono nuove
opportunità.
Il tema è di quelli fondamentali,
e si presta a discorsi sociali ed educativi, oltre che relativi alle relazioni
‘umane’ in generale.
Altro esempio, stavolta di ‘vita
vera’: mostra di creazioni grafiche a tema letterario in una scuola secondaria della
mia città, tappa finale di un percorso laboratoriale che ha coinvolto alunni di
terza, quarta e quinta. I ragazzi hanno potuto lavorare in piccoli gruppi,
confrontandosi e scambiandosi idee, sotto la guida di alcune insegnanti e
dell’ideatore del progetto, un amico che fa il grafico per professione, davvero
in gamba. La scelta è stata quella di selezionare, all’interno dei 30/40 lavori
prodotti, i dodici più meritevoli, valutati da una giuria competente e con
l’idea di realizzarne un calendario. Durante la giornata conclusiva, aperta a
famiglie, parenti, amici e alla cittadinanza, la curiosità dei ragazzi era
palpabile: i più si guardavano in giro, alcuni si scambiavano battute e sguardi
divertiti, altri ancora raccontavano il percorso a parenti e amici. Al momento
della proclamazione dei dodici elaborati vincitori, a spiccare per delusione era
comunque l’atteggiamento dei familiari: il figlio/nipote/fratello/sorella non
era tra i prescelti, avevano “vinto gli altri”; nella migliore delle ipotesi si
curiosava in giro e, cosa che mi ha rincuorato, venivano poste alcune domande. Il
più dispiaciuto, tuttavia, era il mio amico, che si interrogava sul significato
del messaggio arrivato ai ragazzi: la scuola è di per sé un ente valutativo, dunque
anche in un’occasione collaterale e creativa come quella veniva emesso una
sorta di giudizio. D’altra parte, sembrava giusto premiare chi si era impegnato
di più, mostrando maggiore interesse e partecipazione, e chi aveva prodotto le
idee più originali (non è detto però che le due cose vadano insieme: l’impegno
con la riuscita, l’interesse manifestato con la qualità del lavoro e delle idee
create … la delusione può ben essere quella dell’allievo o dell’allieva che si
sono entusiasmati ma che non hanno ricevuto il riconoscimento che si
attendevano). Ad ogni modo, un crudo principio di “realtà”, più attuale che
mai: nella nostra società non pare esserci spazio per tutti.
Come trovare un compromesso tra
una logica competitiva - meritocratica,
diremmo - ed una inclusiva - c’è posto per
tutti, o meglio, per il valore di
ciascuno? E’ tutto un talent-show?
Piccola parentesi sul significato
del termine “talento”. Il talento riguarda una inclinazione naturale nello svolgere
bene una certa attività. Dunque esso pare avere a che fare con una dote “di
base”, che si ha la fortuna di possedere o meno dalla nascita e che certamente
potrà emergere ed esprimersi attraverso l’impegno e l’esperienza, e grazie al
proprio contesto di crescita, che può cogliere e valorizzare determinate
capacità a scapito di altre (altra dose di fortuna). Un secondo aspetto messo
in luce dalla definizione è che il talento attiene alla sfera del fare. Spesso,
tuttavia, quando si assiste ad un talent-show, si ha l’impressione che ad
essere giudicata sia la persona in sé
e per sé, piuttosto che ciò che sa fare
o il modo in cui riesce ad esibirsi in una specifica attività, in uno specifico
momento della propria vita, sul palco della trasmissione televisiva tal dei
tali. Risulta quindi comprensibile come programmi-vetrina del genere, tipica
espressione della società-vetrina in cui viviamo (perlomeno in Europa/Occidente),
siano fonte di ambiguità e confusione, oltre che di aspettative narcisistiche
di successo e riuscita nei campi cui la società e i modelli di riferimento
mediatici attribuiscono valore e importanza.
Il discorso, come è ovvio,
diventa ancor più significativo per i giovani, poiché sul piano evolutivo ciò si
traduce nella domanda: qual è e come posso trovare il mio posto nel
mondo?
Continuando con le suggestioni
evocate dal “talent”, può essere utile declinare la riflessione nei termini di
un processo di sperimentazione e di
scoperta di sé nel/del mondo, di ciò che piace, di ciò che si desidera fare, dei
propri sogni, delle proprie attitudini.
|
Zygmunt Bauman |
Mi torna alla mente un saggio del
grande sociologo recentemente scomparso Zygmunt Bauman, “Intervista
sull’identità” (2003). Messo alle strette dall’intervistatore, Benedetto
Vecchi, che gli pone una domanda sul concetto di identità nell’epoca della globalizzazione,
Bauman rigetta la metafora proposta del puzzle (che implica una ricerca
dell’incastro corretto tra una serie di pezzi predefiniti in vista della
costruzione di un’immagine che si conosce in anticipo) e offre invece quella
del bricoleur, che “crea ogni sorta di
cose col materiale a disposizione” (pag. 57). Sul concetto di identità come
continua ricerca e costruzione il cui esito – se poi ha senso parlare di esito,
come fosse un risultato e non un processo – ci risulta inconoscibile a priori, possiamo
essere d’accordo, in maniera più o meno post-moderna. Ma l’aspetto a mio modo
di vedere più interessante è il non concepire la progettualità in senso
strumentale – quali mezzi per certi fini pre-determinati – quanto in senso finale: quali obiettivi appaiono
possibili in base alle attitudini, alle capacità individuali, alle opportunità
del contesto. E aggiungerei: sulla scorta di sogni e desideri personali, di ciò
che ci piace, carburante quanto mai prezioso, se non essenziale.
In tal modo l’accento si viene a
porre sul ‘cosa desidero con tutto me stesso, cosa voglio davvero’, e solo in
seconda battuta sul ‘come faccio ad ottenerlo’. Il che è quantomeno un buon
punto da cui partire, perché sollecita a riflettere non dando per scontati
traguardi pseudo-desiderati o socialmente appetibili, in un atteggiamento di
dialogo aperto e onesto con noi stessi, coi nostri valori, con ciò che davvero
vorremmo realizzare e che sentiamo come importante. Il giornalista Gabriele
Romagnoli (2015) ha utilizzato l’efficacissima metafora del bagaglio a mano:
l’esperienza, oltre che aggiungere, insegna a togliere, a ridurre
all’essenziale, a sfruttare lo spazio disponibile in modo creativo, accogliendo
i limiti come un vantaggio e non come un ostacolo, costringendo a identificare
quel che realmente si desidera portare con sé.
|
Lola Kirke in Mozart In The Jungle (Amazon Video) |
Dopotutto, c’è speranza per
Hailey, il personaggio di Mozart in the Jungle citato all’inizio.
L’inquadratura fa capire che non si arrenderà, e che l’essere esclusa da un
contesto libererà energie per re-inventarsi in nuovi scenari. E’ il concetto di
“natalità”, così ben illustrato da Hannah Arendt: “la natalità è un permanente invito a ricordare che gli uomini, anche se
devono morire, non sono nati per morire ma per incominciare”.
E i ragazzi delusi del mio amico?
Probabilmente, come detto, il più dispiaciuto era proprio lui. Magari qualcuno
di loro, indipendentemente dal verdetto, ha avuto la fortuna di scoprire una
vocazione, o comunque – cosa non meno importante – di iniziare a familiarizzare
con una passione, con un nuovo canale per dare forma ed espressione alla
propria creatività. Ma c’è di più: ogni nuova esperienza ci rimanda un’immagine
inedita di noi stessi, e di “noi stessi in relazione con”. Permette di creare, in
maniera non sempre e non immediatamente consapevole, nuove connessioni,
aperture, relazioni, e ciò è reso possibile dal carattere dialogico e
interattivo dell’attività proposta: le idee nascono ‘dal basso’, in questo caso
dallo scambio e dal confronto costruttivo all’interno del gruppo dei pari.
Se all’opposto guardiamo il mondo
con gli occhiali forniti dalla società-vetrina, che mirano al successo, alla
fama, alla gratificazione immediata e all’identificazione di ciò che è l’ultima
tendenza in fatto di apparire, allora la logica competitiva, del gioco a somma
zero, dei vincenti/perdenti, ci appare come l’unica plausibile e dotata di
senso.
|
Gregory Bateson |
Nel 1942 l’antropologo Gregory
Bateson scriveva, a conclusione del saggio intitolato “Pianificazione sociale e
deutero-apprendimento”:
“Se il balinese può essere mantenuto occupato e felice da una paura
senza nome e senza forma, fuori dello spazio e dal tempo, noi potremmo bene
essere tenuti all’erta da una speranza di enormi raggiungimenti senza nome,
forma e luogo. Perché una tale speranza sia efficace non è certo necessario che
il suo oggetto sia chiaramente definito. E’ solo necessario essere sicuri che
ad ogni momento il successo può trovarsi appena svoltato l’angolo e, vero o
falso che sia, questo non potrà mai essere deciso. Ci incombe di diventare come
quei pochi scienziati e artisti che lavorano sotto la spinta di questa urgenza
ispiratrice, l’urgenza che nasce dal sentire che la grande scoperta, la
risposta a tutti i nostri problemi, oppure la grande creazione, il sonetto
perfetto, sono sempre appena fuori della nostra portata, o come una madre che
sente che c’è vera speranza, purché vi si impegni costantemente, che il suo
bambino diventi quel fenomeno infinitamente raro: una persona felice e grande”.
Ecco, in quest’ottica il successo
è la felicità intrinseca al fare,
allo svolgere una cosa con passione e dedizione – con amore materno direi –
sotto la spinta di quella forma di speranza e fiducia che Bateson chiama
poeticamente “urgenza ispiratrice”.
L’inclusività diventa allora un
modo di relazionarci con noi stessi e con gli altri, un atteggiamento di
dialogo aperto e rispettoso che sollecita al confronto, al riconoscimento
dell’Altro come dotato, di per sé, di un valore che gli deriva dall’essere
impegnato – anche se spesso non lo sa – in questo lavoro, faticoso ma
indispensabile e inevitabile, di continua ricerca, scoperta e creazione.
C’è posto per tutti si trasforma così, più opportunamente, in spazio al valore di ciascuno.
BIBLIOGRAFIA/SITOGRAFIA:
Hannah Arendt "Sulla violenza" (Guanda)
Gregory Bateson "Pianificazione sociale e deutero-apprendimento" (da "Verso un'ecologia della mente", Adelphi)
Zygmunt Bauman "Intervista sull'identità" (Laterza)
Gabriele Romagnoli "Solo Bagaglio a Mano" (Feltrinelli)
Mozart In The Jungle ("O sei il migliore o fai schifo!", terza stagione, Amazon Video)