E' consigliato parlare con gli sconosciuti ...

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domenica 1 ottobre 2017

La Banlieu della gioia






Iniziativa davvero degna di nota questa festa delle culture africane promossa dalle associazioni che gravitano su Milano. Dal teatro alla moda, passando per la danza e, ovviamente, la musica, l'atmosfera è piacevolmente calda e accogliente.



Un plauso alla super esibizione "Yele" a cura dell'Associazione Sinitah, che accompagna con ritmi e danze dell'Africa Occidentale, Burkina Faso nello specifico, la sfilata di moda: che ensemble ragazzi!



Infine Baba Sissoko e la sua band, che non si fanno attendere.


Che dire, la veste così esplicitamente funk-blues e tendente all'improvvisazione mi ha sorpreso. L'elettricità distorta che si propagava nel magnifico spazio della Fabbrica del Vapore (acustica non proprio eccelsa, ma ci si accontenta) era una manna, e rimbalzava gioiosamente fra il pubblico. Quel suono così denso e quelle ritmiche forsennate mi hanno fatto tornare in mente lo splendido blues del compianto Lobi Traore, e un poco l'ultimo lavoro di Bassekou Kouyate ("I Speak Fula").

 




Apprendo con piacere che il disco in uscita, "Mediterranean Blues" (Caligola Records, 2017), è registrato dal vivo, dunque non un grammo di quel suono 'spesso' e dell'atmosfera da jam session verrà presumibilmente perduto.


domenica 16 luglio 2017

Fender al posto di fucili e musica come strumento di resistenza: Tinariwen a Villa Arconati




Tinariwen Live @ Villa Arconati, 12 Luglio 2017


I Tinariwen sono decisamente la cosa più rock n'roll in cui ci si possa imbattere nel 2017. 

Con il loro conturbante immaginario sensoriale che, più che un luogo fisico-geografico, è ormai luogo della mente: costretti a lasciare la loro Tessalit, nel nord-est del Mali, hanno inciso gli ultimi tre album nel deserto di Joshua, in California. 

Loro, con la loro formazione aperta: all'appello manca uno dei leader, Ibrahim Ag Alhabib, ma gli altri si suddividono meravigliosamente le responsabilità e il compito di trainare banda e pubblico. 
Loro, con i continui scambi di chitarre acustiche, elettriche e basso: stupore tra il pubblico quando il bassista si trasferisce al centro del palco, affidando il basso ad uno dei compagni ed esibendosi in due pezzi da brivido (uno dei quali, Nannuflay, vedeva su disco un cammeo di nientepopodimenoche Mark Lanegan).





Vi risparmio la spiega su come i Nostri si siano incontrati per la prima volta  - perlomeno, i leader - in un campo di addestramento libico. I Tinariwen nascono infatti nel 1979, mostrandosi nel tempo come uno dei gruppi più longevi e credibili dell'ondata tuareg-rock, che, diciamolo pure, rimane un genere 'di nicchia' (e ne siamo felici ... a quante banalizzazioni potrebbe prestarsi? Meglio non saperlo). Ad ogni modo rimando a questo articolo per un approfondimento, a mio parere necessario per meglio comprendere la visceralità della loro musica.


Un'ora e mezza di rock-blues trascendente, ipnotico, che parte piano - anche nel coinvolgimento del pubblico, che si attarda tra birre e piadine al bar e accorre veloce non appena i Nostri compaiono - per continuare in un crescendo di ritmi suadenti ed elettricità sempre più densa (quando le due elettriche suonano contemporaneamente la band prende letteralmente il volo).




Si conclude con una sorta di rap, ripescato dal primo album, The Radio Tisdas Sessions, che infiamma chi ancora non stava bruciando (personalmente ho preso a bruciare dall'inizio ... e con Assawt sono quasi evaporata ...).

Un gruppo unico e strepitoso che si è concesso generosamente in una cornice, quella di Villa Arconati, davvero speciale.




sabato 18 marzo 2017

Savane


Ali Farka Touré - Savane 

(World Circuit, 2006)


Tenete conto che, per me, la discografia di Ali Farka Touré (sempre sia lodato, e mai comunque abbastanza) si aggira mediamente tra il 9 e il 10. Di certo le ultime uscite, insieme a Toumani Diabaté (In The Heart Of The Moon e Ali & Toumani), entrambe di una grazia inaudita, rappresentano due tasselli imprescindibili dell'arte del Nostro. Ma ho l'impressione che l'ultima incisione in studio a nome Ali Farka Touré, Savane (2006), sia passata quasi inosservata, un poco in sordina. Invece, riascoltandolo a più di dieci anni di distanza, si (ri)scopre un album di bellezza incredibile. 
La title track è uno dei blues più intensi che abbia mai interpretato. Soya è un brano Mande gioioso e incontenibile; Machengoidi è invece la versione originaria del pezzo poi riproposto in versione acustica con Toumani. E poi qua e là spruzzate di sax e voci della sua gente (N'Jarou): quanto splendore.

Fa male al cuore pensare che Ali ci abbia lasciati poco dopo le sessions dedicate a Savane. Ma c'è da sentirsi fortunati sapendo che Ali is here, comunque.






domenica 15 gennaio 2017

They got the blues



Video splendido per un pezzo altrettanto evocativo. 
Tornano i Tinariwen con Elwan, in uscita il 18 febbraio per la ANTI- e registrato, come il precedente album, nel deserto di Joshua Tree in California. Ho sentito altri due-tre brani e il livello sembra essere quello di sempre, ovvero medio-alto.

Se dovessero domandarmi cosa hanno di diverso i Tinariwen dallo stuolo di tuareg-rock bands che si sono moltiplicate in questi anni, con risultati artistici alterni, lo riassumerei in questo modo: they got the blues. Ovvero solo loro riescono a creare un'atmosfera che è il riflesso di un moto dell'anima. 
Che è quella ipnotica e pacificante del deserto, del cielo, e della sabbia. A qualunque latitudine e in qualsiasi continente essi si trovino.



mercoledì 16 novembre 2016

Oh Lord ...



Charles Mingus

Oh Lord Don't Let Them Drop That Atomic Bomb On Me

Oh Yeah

(Atlantic,1962)


Quanto mai attuale ... :-(

domenica 6 marzo 2016

Inar



Speriamo in una produzione meno 'effettata' rispetto al precedente "Nomad" ...




Azel 
(in uscita il 1 aprile per Partisan Records):
01 Akhar Zaman (This Moment)
02 Iwaranagh (We Must)
03 Inar (If You Know The Degree Of My Love For You)
04 Tamiditine Tarhanam (My Love, I Tell You)
05 Timtar (Memories)
06 Iyat Ninhay / Jaguar (A Great Desert I Saw)
07 Igmayagh Dum (My Lover)
08 Ashuhada (Martyrs Of The First Rebellion)
09 Timidiwa (Friendship)
10 Naqqim Dagh Timshar (We Are Left In This Abandoned Place)




Bombino & the band che suonano a NY al Parco della vecchia sopraelevata ... non ha prezzo :-)

mercoledì 13 gennaio 2016

TisDass



Fanculo a tutti i terrorismi e gli estremismi, ecco un grande disco di rock'n'roll direttamente dal Sahel.

Sulle orme stilistiche dei Tinariwen più elettrici e del Bombino all'altezza del capolavoro Agadez, ecco l'opera prima del bassista del Group BombinoKildjate Moussa Albadé. L'album, Yamedan, uscito a nome TisDass lo scorso dicembre per sahelsounds, è acquistabile sul sito della label per 7 dollari, in formato MP3 e FLAC. E' disponibile anche una musicassetta :-)

Peccato non averlo inserito nella top 2015, il disco merita.




sabato 19 dicembre 2015

Rockin' the suburbs







1. Tinde (Tinariwen Feat. Lalla Badi)
2. Tamiditin
3. Koudedazamin
4. Imidiwan Ahi Sigidam
5. Tamatant Tiley
6. Tinde (Lalla Badi)
7. Azawad
8. Chaghaybou
9. Toumast Tincha
10. Tiwayyen
11. Emin Assosam
12. Tinde Final (Tinariwen Feat. Lalla Badi)



sabato 7 novembre 2015

Musica per ipnotici matrimoni elettrificati


Abba Gargando 
Abba Gargando 
(Sahelsounds, 2015)


"Low-fi Tuareg guitar from renowned Timbouctou musician Abba Gargando. Original compositions and folklore classics from hypnotic electrified weddings to quiet fireside recordings in the refugee camps. Collected and recorded on cellphones, sparse recordings in the medium where he is best known".


Ho vergognosamente copiato e incollato la descrizione fornita dal comunicato stampa della Sahelsounds perché in primo luogo è scritta benissimo, e poi perché il fascino visionario delle parole rispecchia efficacemente e felicemente quello della musica.

Abba Gargando è un nome che non mi è nuovo. Dopo una breve ricerca sul sempre utile rateyourmusic, scopro che un suo pezzo compariva nella interessantissima raccolta Laila je t'aime (Mississippi Records/Sahelsounds, 2012), ideale prosecuzione di una serie di cassettine di culto sempre uscite per Sahelsounds (Music from Saharan Cellphones). 

Il mio corpo, il mio cuore, i miei pensieri, tutto vibra gioiosamente quando ascolto musica del genere. Parlando qualche settimana fa con gli amici di Radio Pane Salame (ciao ragazzi!) di musica del popolo Tamasheq, o Tuareg che dir si voglia, si diceva del magnetismo di questi suoni del deserto, rock'n'roll nell'attitudine combattiva e blues nell'anima, che hanno bisogno tuttavia di un tempo di acclimatamento alle nostre orecchie. In maniera sensata si rilevava la necessità di penetrare, almeno un minimo, in un contesto artistico e geo-culturale ricchissimo, ma distante anni luce dal nostro modo di intendere l'arte, la vita, la società, le relazioni. Basti solo pensare alle difficoltà linguistiche, che ci portano ad usare indistintamente termini ed espressioni che tra loro coincidenti non sono (ad esempio: tamasheq è il dialetto parlato nel territorio di Timbouktou, tishoumaren è il nome specifico del genere musicale, da noi chiamato per comodità tuareg music). O ancora, le differenze lessicali, che fanno riflettere su quanto il modo di nominare le cose del mondo sia anche un modo per crearle e renderle vive, importanti e ricche di sfumature ai nostri occhi: ad esempio tenere è soltanto uno dei molti modi per designare il deserto.

Questo riscaldamento per farci entrare meglio nell'ottica di Abba Gargando e della sua musica, che a mio parere sposta ancora un poco più in là gli immaginari confini creativi dei suoni del popolo tuareg. Confini che, a ben vedere, sono una bella frottola umana, la cui realtà illusoria emerge come una fata morgana tra le dune dei deserti del Sahel.

In Abba Gargando la trance e la circolarità ipnotica dei suoni vengono esaltate, oltre che dai riff delle chitarre, da un lavoro sulla ritmica che utilizza l'elettronica e non so quali altre diavolerie (una drum-machine? purtroppo le informazioni in rete non abbondano). Ci sono melodie sopraffine, e cose che piacerebbero un mondo ai fan del kraut-rock e di certo electro-pop odierno. E che effetto di straniamento pensare che il materiale è invece stato registrato e prodotto in Mali e Mauritania!






Si tratta di musica che viene tuttora scambiata e condivisa attraverso le micro-sim dei cellulari. 

Uno di quei casi in cui il medium, pur con i limiti a livello di pulizia sonora, diventa parte essenziale e vitale della cifra stilistica del contenuto. Un diverso modo di intendere la bassa fedeltà dunque, non lavorata in una cameretta dell'Upper East Side di Manhattan, ma ricavata con gli strumenti che si hanno a disposizione, sotto una tenda, in compagnia di innumerevoli granelli di sabbia, e di persone. 

Less is more ... ma è davvero less?



venerdì 28 agosto 2015

Qualcosa di nuovo dal fronte occidentale ...


Roots Magic - Hoodoo Blues 

Alberto Popolla clarinets / Errico DeFabritiis alto sax / Gianfranco Tedeschi double bass / Fabrizio Spera drums / Guest: Luca Venitucci Organ, Melodica, Amplified Zither




Ammaliante. Avevo bisogno di un disco del genere in questo momento. Che vi devo dire, questo qui è il mio rock'n'roll.


"This is one more proof that jazz, and blues for that matter, turned to be a universal language. Roots Magic is an Italian quartet, and yes, they play the Blues. A sort of Avant-Garde Blues, to be more exact. The group consists of Alberto Popolla – clarinets, Errico Defabritiis – alto sax, Gianfranco Tedeschi – double bass and Fabrizio Spera – drums, plus guest Luca Venitucci – organ. Two of the tracks of this album are from members of the band but the main content is formed by covers. Some come from the Delta Blues repertoire (Blind Willie Johnson, Charley Patton) and are submitted to unusual arrangements, and others were composed by distinguished Free Jazz. musicians like Julius Hemphill, Phil Cohran, John Carter, Sun Ra and Olu Dara, and Roots Magic squeeze the blues out of it. The concept is marvelous and the results are magnificent. A multiple picture including open form ballads, Afro-funk numbers and highly energetic free-jazz. Maybe only non-African-Americans could manipulate the tradition like this, but it does sound American. Thank God we live in a global village and history isn’t something to keep stored at a museum". [dal sito Clean Feed]



Leon Bridges - Coming Home


Qui invece stiamo da tutt'altra parte, e lo si capisce già dalla copertina. Più che un ritorno a casa, è un revival soul-gospel coi fiocchi. Ma ragazzi, che canzoni zuccherose. E quanto ti si appiccicano piacevolmente addosso. La passione disperata di Sam Cooke che urla A Change Is Gonna Come è solo una lontana chimera (d'altra parte esistono oggidì modelli soul-funk artisticamente validi e ben consolidati cui guardare, chiedere in casa Daptone), ma il buon Leon azzecca un pezzo dietro l'altro. E Lisa Sawyer non sfigurerebbe accanto ai classici.



sabato 25 aprile 2015

L'epica dello ngoni



Pazzesco. Ancora più elettrico dei due precedenti (Siran Fen è una cavalcata da far tremare), e ad un primo ascolto prodotto egregiamente (la cricca della Glitterhouse/Glitterbeat è, tutto sommato, affidabilissima e appassionata). Temevo che, come Bombino, sarebbe sceso a compromessi; invece nemmeno per idea. Ayé Sira Ba (che intreccio di livelli sonori!) e Waati fanno quasi credere che Hendrix in realtà non sia morto più di quaranta anni fa ma semplicemente perduto in Mali.

Dal vivo Bassekou e amici promettono sconvolgimenti tellurici.
Tour dalle mie parti no?



domenica 15 marzo 2015

The lady sings the blues


Credo che, insieme a The Man Who Sold The World di Bowie rifatta e resa immortale dai Nirvana, molte delle interpretazioni di Odetta si possano annoverare nell'olimpo delle cover ancor più 'originali' dei brani originali.

L'intero disco Odetta Sings Dylan (1965) ne è la prova: la delicata trama chitarristica in The Times They Are A-Changin' eleva, se possibile, la canzone, rendendola ancor più preziosa. Il blues di With God On Our Side, che peraltro pervade tutto l'album: lo si annusa in ogni anfratto, lo si respira in ogni corda pizzicata.
Masters Of War porta ad un ulteriore livello di significato la parola 'sublime'.
E poi quella voce ...

lunedì 24 marzo 2014

Facce da culto: Aziza Brahim - Soutak (2014)


Aziza Brahim - Soutak (2014)


"You are like the night and the stars
Your voice goes beyond the top of the clouds
You are the smiling breeze of today
You are an example of humanity and of fight. Resist, immortal, resist."

-- "Julud"


domenica 9 febbraio 2014

Album Trailer: Dead Combo - A Bunch Of Meninos


In uscita il prossimo 10 marzo! E' dall'ultimo disco, Lisboa Mulata, che li attendo con trepidazione :-)

Peccato che il tour tocchi soltanto terra portoghese...




Dead Combo & me ;-)

giovedì 16 gennaio 2014

Da un deserto all'altro



Puntuali come degli svizzeri del Canton Ticino (e invece sono originari del Mali!), ritornano i miei beneamati Tinariwen, con un album che uscirà il prossimo 11 febbraio per la ANTI-, che avrà il titolo di Emmaar. Ho saputo che è stato registrato interamente nel Deserto di Joshua, in California. Vediamo un po' con quali 'commistioni desertiche' ci stupiranno!

giovedì 4 aprile 2013

13 Degrees Of Africa

The Heliocentrics - 13 Degrees Of Reality (Now Again, 2013)

Ascoltato quattro volte consecutive in due giorni. Finalmente il disco che volevo da loro, dopo aver dato prova di essere musicisti di assoluto livello nelle recenti ed ottime (Lloyd Miller) se non eccellenti (Mulatu Astatke) collaborazioni. Malcolm Catto non solo pesta ma provvede ad un apparato ritmico assolutamente notevole, il tutto nella consueta miscela di electro, funk, jazz-hop, dub e beat conturbanti. Con un senso globale di coesione che non mi aspettavo e che trascende il pur ottimo ma a mio parere frammentato Out There (Now Again, 2007). Sono passati sei anni, l'esperienza e la saggezza accumulate si percepiscono immediatamente. Applausi.




Classico disco schivo, che non si concede al primo ascolto ma che riserva meraviglie. Un po' come la sua titolare, la splendida Rokia Traoré, meno sorniona di una Fatoumata Diawara e più enigmatica di una Oumou Sangaré, ma con una personalità interpretativa e compositiva fuori dal comune. Così come aborro i tentativi di colonizzazione come quello compiuto da Auerbach (sul mio blog è il nome della settimana), allo stesso modo apprezzo gli esempi di produzione 'saggia' come questa ad opera di John Parish, che come di consueto non calca la mano e si limita a rifinire valorizzando le (già cospicue) risorse a disposizione.




Bombino prodigio è stato venduto alla capolista



Auerbach, ma cosa c'entrano Farfisa e pedal steel???