E' consigliato parlare con gli sconosciuti ...

E' consigliato parlare con gli sconosciuti ...

lunedì 25 luglio 2016

Moscablu



Cyro Baptista

Bluefly
(Tzadik, 2016)



Personnel:
Cyro Baptista: Percussion, Vocals 
Tim Keiper: Kamel Ngoni, Drum Set 
Ira Coleman: Bass 
Vincent Segal: Cello 

Featuring
Romero Lubambo: Guitar 
Brian Marsella: Shahi Baaja, Andes #25F, Fender Rhodes 
Ikue Mori: Laptop 
Amir Ziv: Drums 
Mark Ari: Samples 
Justin Bias: Samples 
Kevin Breit: Mandolin Orchestra 
Cabello: Percussion 
Felipe Calderon: Samples 
Andy Caploe: Samples 
Alessandro Ciari: Samples 
Cadu Costa: Guitar, Clarinet 
Chikako Iwahori: Surdo 
Franca Landau: Samples 
Zé Maurício: Surdo 
Marcelo Paganini: Samples 
Max Pollak: Surdo 
Steve Sandberg: Samples 
Leni Stern
Gene Torres: Samples 





Una meraviglia totale. Pare la versione aggiornata al 2016 di Baden Powell e Vinicius, per lo più strumentale e a tratti elettrificata.

Magico e misterioso come poche cose ascoltate quest'anno: Bluefly del percussionista brasiliano, peraltro veterano, Cyro Baptista.

Consigliatissimo.


martedì 12 luglio 2016

Rivelazioni mistiche dei figli del Negus


Sons Of Negus

A Psalm Of Praises To The Most High 1967-1972

(Dub Store Records, 2016)



Registrazione di qualità non eccelsa, ma ragazzi, che compilation. 
I Sons Of Negus di Ras Michael/Dadawah (all'anagrafe Michael George Henry, classe 1943) sono stati un gruppo di vocalist e percussionisti giamaicani appartenenti alla Comunità Rastafariana, attivi a partire dalla metà degli anni '60.

Se vi piacciono Count Ossie, Tommy McCook, Cedric Brooks e tutti quegli artisti che dalla Jamaica hanno tracciato un cammino spirituale/esistenziale, ancor prima che musicale, dai Caraibi alle mitiche origine etiopi del Rastafarianesimo, allora probabilmente non starete nemmeno finendo di leggere la frase, già diretti verso il vostro spacciatore di fiducia.

Lion Of Judah, Time Is Drawing High, Ethiopian National Anthem ... potrei citarli tutti. Autentiche meraviglie vocali su un tappeto ipnotico di percussioni in grado di lenire ogni male.

Consigliati anche 
(almeno i primi due autentici capolavori):







sabato 2 luglio 2016

Caribbean Renaissance

Facciamo un gioco: quanti vinili riconoscete?


Era dai tempi del magnifico Rubber Orchestras (2011) che non scrivevo di Anthony. Ahh, le glorie dell'auto-citazione.

Possiedo poche certezze. Una di queste è che Anthony Joseph incarna una delle rare figure attuali in grado di tenere insieme identità e appartenenze, musicali e non, differenti, spesso anche in conflitto tra loro.

E, nelle tragiche condizioni socio-politiche in cui versiamo (per non dire semplicemente umane), ciò è un esempio quanto mai prezioso di come il riflettere su e il riscrivere la propria storia, oltre che possibili forme d'arte, siano un antidoto al riduzionismo e alle banalizzazioni, comuni ma perverse risposte umane al dubbio, alla paura e a ciò che non si riesce a comprendere.





Anthony Joseph, poeta-scrittore-musicista, classe 1966, nato a Port of Spain (Trinidad & Tobago), vive dal 1989 in Inghilterra. Cresciuto dai nonni, inizia a scrivere giovanissimo, e nelle frequentazioni familiari presso la Chiesa Battista entra in contatto con spirituals e sermoni impregnati dei natii ritmi caraibici. Una sorta di processo di ri-apprendimento e di ri-appropriazione, in un contesto estraneo e lontano, delle proprie origini, come persone e come popolo, compiuto attraverso riti e rituali comunitari.

In questo 2016 funestato di notizie di attentati e di barconi affondati nel Mediterraneo, Anthony vuole dire la sua sul mondo, cercando - trasmutazione alchemica resa possibile, appunto, dall'arte - di rendere soggetto ciò che, visto attraverso lo sguardo dei media e conosciuto tramite internet e i social network, viene per lo più trattato come oggetto.

E lo fa (ri)partendo dalle proprie origini. 





Caribbean Roots (Heavenly Sweetness, 2016) è un disco che già dalla copertina presenta uno scenario ben poco da cartolina: una pittura surrealista/espressionista che raffigura un paesaggio urbano dis-umano (privo di presenze umane), in cui si aggirano due figure diaboliche, con tanto di ali, corna e forcone.

Le influenze caraibiche, mento-calypso-etc, in realtà innervano tutta la musica di Anthony Joseph, a partire dal primo album con la Spasm Band, nella sua carriera solista e nei contributi per altri progetti (i nostrani, ottimi Mop Mop).

Non resta che ascoltare e lasciarsi andare sull'onda sinuosa dei ritmi intessuti da Anthony e da una band fenomenale, con un orecchio attento alle liriche. Our History parla, sì, della storia del popolo di Trinidad: di resistenza, talvolta anche violenta, al colonialismo. Si tratta di una storia sempre ridondante, che si ripete a livello di dinamiche e di eventi, che pur nella specificità delle singole storie locali sembra avvitarsi su stessa in un processo in cui, apparentemente, non riusciamo ad apprendere dai nostri errori. Un processo in cui, per sfuggire ai diavoli della copertina, l'unica soluzione per non soccombere sembra essere quella della fuga.

Noi che possiamo permetterci di non fuggire allora potremmo, come minimo, cercare di lottare, almeno nel nostro piccolo. E in ciò la musica e l'arte ci vengono sempre in aiuto.