E' consigliato parlare con gli sconosciuti ...

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sabato 11 giugno 2016

Fire Spirits




Ho scommesso con degli amici sulla tenuta del pubblico, in termini di durata.

Pubblico, a dire il vero, molto numeroso, composto dal consueto popolo 'indie' (t-shirts di Mombu, Zu, Neu, The Thing, Sun Ra, etc.) ma anche da ignari spettatori - molti dei quali anche coraggiosi anziani - che molto probabilmente non avrebbero mai associato la parola 'orchestra' al rituale tellurico e sorprendente al quale hanno invece assistito.

I Fire! Orchestra hanno fatto scuotere gambe, cuori e mura, mescolando i linguaggi del free-jazz, del rumorismo, del rock/post-punk e del blues. Disposti a semicerchio (ma dalle immagini vedo che hanno un assetto variabile), ugualmente rappresentati da uomini e donne, i Fire! sono una bocca da fuoco di sax tenori, trombe, tromboni, due chitarre elettriche, due batterie, percussioni, contrabbasso, tastiera con effetti elettronici, e due vocalist - di cui una soprano - che paiono due folletti, una bianca e una nera, yin e yang. 
Nel mezzo lui, il nordico folle: Mats Gustafsson, preso a torturare il suo sax e a dirigere, in modo magnificamente teatrale, con una gestualità che coinvolge tutto il corpo, la sua orchestra. Una trasfigurazione del classico direttore d'orchestra, che si sporca le mani insieme ai suoi compagni e li coinvolge, più che dirige.

Un'oretta di concerto, riproposizione integrale dell'ultimo album, Ritual (Rune Grammofon, 2016), più un bis. Ne avremmo voluto ancora, ma tant'é.





Un ennesimo plauso ad una manifestazione che ha coinvolto nel corso degli anni, ormai una decina abbondante, una serie di musicisti e band interessantissimi, da nomi di spicco a proposte meno conosciute o di nicchia. 
La parola chiave è, a mio avviso, apertura
Sul piano musicale: il jazz si presta a molteplici contaminazioni e connotazioni a livello di significato; quindi porte spalancate ai ritmi di varie latitudini, dance, ethio-jazz, soul, afro-funk e afrobeat. 
Ma anche apertura a livello geografico: Novara Jazz si è gradualmente distribuito nel territorio di città e provincia, coinvolgendo piccoli paesi e agriturismi (Rob Mazurek che suona a Tornaco!!!).

Per la cronaca: la quasi totalità del pubblico è rimasta sino alla fine. Al lordo di facce perplesse e spaventate.

Viva la bellezza e viva lo stupore.
Viva Mats Gustafsson e la sua orchestra. 
Viva il jazz. Viva il rock.



Purtroppo non ho ancora scaricato i filmati dal cellulare, quindi beccatevi questa clip dello scorso anno ;-)


N.B.: per chi passasse da Novara stasera: concerto dei Melt Yourself Down ore 21.30, Broletto!

domenica 5 giugno 2016

Il grande plof



Ovvero: come organizzare un evento mediocre spendendo di più, e quindi male.

Parto dal principio. A Vigevano, se non grazie ad agenzie esterne (vedi Barley Arts, che organizzò per 3-4 anni concerti estivi nel cortile del Castello Sforzesco), non si respira molta musica, ad eccezione di band locali di ragazzi ormai non più così ragazzini (i migliori: Vinaccia Ensemble, mitici).

E' stato dunque con piacere e con un pizzico di orgoglio autoctono che accolsi, due anni fa, la nascita di un festival - a dir la verità una manciata di serate, una alla settimana - che faceva del jazz la sua bandiera, il suo motore propulsivo e di aggregazione. Una piccola manifestazione, 'piccola' soltanto nel suo essere sobria: come spesso accade, dietro all'apparente tono minore si celavano nomi interessantissimi, per lo più giovani (Luca Dell'Anna Trio, Chicago Stompers) e fuoriclasse di cui andare fieri anche all'estero (il pianista vigevanese Rossano Sportiello, che ha incantato con una leggerezza ed una umiltà proprie dei grandi un'afosa serata di due anni fa). Dulcis in fundo, il piccolo grande orgoglio locale: il pianista vigevanese e direttore artistico Tazio Forte, che ha prestato il proprio talento in varie formazioni, presenza essenziale e mai ingombrante.

Ora, il jazz è una parte di me, del mio percorso e della mia identità, del modo con il quale mi rapporto al mondo (non solo: è un forziere di metafore che mi è utile, spesso, anche nel mio lavoro).

Della parola jazz si abusa spesso, nel gergo comune ma anche nel mondo dei cosiddetti addetti ai lavori. Come qualsiasi categoria, si rivela alla lunga riduttiva e inefficace nel cogliere la complessità delle cose nel loro dispiegarsi. Jazz diventa così tutto e niente. Per alcuni diviene un bel parolone con cui pavoneggiarsi (Io ascolto jazzzzz); per altri è sinonimo di una parolaccia o di un morbo contagioso col quale è auspicabile avere il meno a che fare (No per carità, a me il jazz proprio non piace, mi annoia da morire ...).

Il jazz è così tante cose, molte delle quali impreviste ed emergenti in una data situazione, che sorrido con un poco di amarezza quando mi imbatto in 'pareri' del genere. Più che una musica, dopo tanto studio e letture, oltre che miriadi di ascolti, mi sono fatta l'idea che si tratti di un approccio alla musica, al suonare insieme. Che, almeno tanto quanto il risultato (talvolta addirittura di più), nel jazz conti il processo: ovvero il come questa musica viene a generarsi nell'interazione tra i musicisti in quell'attimo irripetibile, vuoi anche grazie alla tecnica, all'esperienza e al talento di ciascuno. E grazie alla partecipazione del pubblico, perché no.

Ma torniamo al punto di partenza. Vigevano Jazz. Edizioni 2014 e 2015 organizzate grazie al supporto della Fondazione Piacenza e Vigevano, e con il contributo - in termini concreti, come performers, e di direzione artistica - di alcuni giovani musicisti vigevanesi e della zona (uno su tutti: il già citato e bravissimo Tazio Forte). 
L'edizione di quest'anno (che le autorità presenti hanno annunciato come "la prima", dando sfoggio della consueta memoria corta dei politici ... ), supportata oltre che dalla Fondazione anche da Banca Generali, si è da subito presentata con significative differenze: tre settimane, con tre appuntamenti per ciascuna (di cui uno sul genere 'aperijazz+conferenza'). Bello, viene da dire, difatti accolgo con entusiasmo: la prima serata - nonostante il freddo e il pubblico scarso - è fantastica (Antonio Vivenzio Trio, giovane trio composto dal pianista/compositore Antonio Vivenzio, dal contrabbassista Claudio Ottaviano e dal batterista Filippo Sala).
Il concerto successivo (le musiche composte per i film di Eriprando Visconti, suonate dalla big band del musicista della zona Gabriele Comeglio più un quartetto d'archi dell'Istituto Costa di Vigevano) è troppo modern classical per i miei gusti. Ma appunto: de gustibus. Si trattava comunque di una proposta interessante, poiché i brani erano presentati - a detta del diretùr Comeglio - in una veste inedita. 

Peccato che quella che era stata preannunciata come una manifestazione che intendeva dare spazio a giovani musicisti la settimana successiva tradisce i proclama iniziali. Si trasforma in quello che sembra a tutti gli effetti un 'Comeglio Family Festival' (papà Gabriele e sua figlia, cantante, Caterina), con nomi di spicco (il sassofonista jazz-funk Pee Wee Ellis, il grande Gianluigi Trovesi) inseriti nel programma come specchietti per le allodole. Sempre bello vederli e sentirli all'opera, ma dell'ennesima serata con la Comeglio Big Band - peraltro composta da ottimi musicisti, per lo più turnisti rodati alle prese con la cinquemilionesima riproposizione di standard o, quando va bene, di pezzi funk - avrei fatto volentieri a meno. 

Ripeto: de gustibus. Personalmente preferisco poche cose, ma pensate e fatte bene, con l'umile consapevolezza dei propri limiti e delle proprie risorse, senza illusioni e giochetti di parole. 
Purtroppo mi sono persa alcune serate (gli aperijazz pre-conferenza e il concerto di Gianluca Di Ienno, che promettevano bene). 
Il mio non vuole essere dunque un giudizio quanto lo sfogo di una delusione: per un'occasione parzialmente sprecata. Anche perché il nuovo contesto (cortile della Cavallerizza del Castello) si è rivelato perfetto come cornice e per l'acustica, nonostante il clima ancora fresco.

Speriamo in un ritorno all'antica.

venerdì 3 giugno 2016

giovedì 2 giugno 2016

NuModern Jazz


Robert Glasper

Barangrill


tratto da

"Covered (The Robert Glasper Trio Recorded Live at Capitol Studios)"

(Blue Note, 2016)


Robert Glasper - pianoforte

Damion Reid - batteria

Vicente Archer - contrabbasso


“I didn’t want to go back to trio and just play a bunch of standards or original jazz compositions, because then I would lose the big fan base I just built from mainstream R&B,” Glasper explains. “So I decided on a happy medium, returning to the piano trio but doing cover songs, which is something that I’ve never done before. It’s something that can feed the appetites of both my R&B/hip-hop audience and my jazz audience at the same time.” -- Robert Glasper



mercoledì 1 giugno 2016

Streams of consciousness


Max Roach & Abdullah Ibrahim

Streams Of Consciousness



Max Roach - batteria

Abdullah Ibrahim - pianoforte


Baystate 1977/Piadrum Records 2003)